Caos. Fotogrammi singoli, luci troppo forti e rumori concitati, inframmezzati dal buio. Gente che corre. Grida disperate. Ordini secchi. Sirene di allarme. Fiamme riflesse sul volto sconvolto di un bambino. Il tonfo di portelloni che si chiudono. Un conto alla rovescia da un altoparlante, come una cantilena. Cinture di sicurezza che scattano. Un bicchiere di vetro va in mille pezzi su un pavimento spoglio. Il crepuscolo illumina un panorama spettrale, oltre un oblò. Gemiti soffocati. Un quadrante luminoso pulsa, con la lancetta nell’area rossa. Lacrime solcano un volto impolverato, irriconoscibile. Rombo di motori accesi. Un’anziana prega in silenzio, buttata in un angolo come uno straccio. Metallo che stride. Il boato lontano di un’esplosione…

 

Finalmente i fotogrammi cominciano a collegarsi in sequenza. Una visione sconvolgente. Un’astronave si solleva lentamente dai resti di un pianeta in rovina. La fiammata dei razzi a propulsione nucleare illumina un cartello arrugginito: “Pista 6”. Altri bagliori provengono dal suolo, che si sta spaccando; qua e là scorrono rivoli di magma. Nastri di cemento smangiato rimpiccioliscono mentre la nave guadagna quota e velocità. Primo piano sul volto di un giovane uomo. Ha la barba non tagliata, il naso affilato, capelli castani spettinati, una tuta da lavoro troppo larga per il suo corpo magro; non mangia da giorni. È davanti a un oblò impolverato; gli occhi inquieti guardano fuori con terribile intensità. Dentro di lui si agitano emozioni fortissime. Incredulità. Rabbia. Disillusione. Senso di colpa. Angoscia. E sopra a tutto, una tristezza cosmica. Le palpebre quasi non sbattono: cerca di non piangere. A un tratto le sue labbra sussurrano: “Addio…”. Il fiato appanna il finestrino. Ora sa cosa si prova a diventare orfani in un modo terribile, ad abbandonare per sempre quel mondo che è stato casa e madre, prima di trasformarsi in incubo, trappola, tomba spaziale. Quegli occhi raccontano un trauma non rimarginabile.

 

E mentre il panorama fuori dall’oblò si fa nero, quando l’astronave lascia l’orbita terrestre, le iridi riflettono il firmamento. Nel suo sospiro appena percettibile si coglie tutta la differenza rispetto agli sguardi che per secoli hanno percorso il cielo notturno. Ora ogni certezza è crollata. Solitudine. Freddo. Un taglio profondo nel tessuto dell’anima. Tempo, spazio e individualità perdono ogni significato, nell’abbraccio eterno della notte.

PISTA SEI

 

 

Spazioporto,
pista sei:
tutto pronto
per l’evacuazione.
Ecco il mondo
nell’oblò;
tutto è smorto,
persino il sole.
Lingue rosse
bruciano
nel tramonto
senza far rumore
tra rovine,
polvere,
radiazioni:
voliamo altrove…

 

Sprazzi di un pianeta morente
scorrono davanti a me;
ora non ha senso più niente,
nemmeno piangere.

 

Mentre l’atmosfera svanisce
e saliamo ancora più su
sento che questo addio tornerà
come un déjà vu.

 

Il motore atomico vibra;
tutti noi vibriamo con lui.
Dell’umanità cosa resta?
Occhi spenti e baratri bui…

 

Ora siamo soli:
era casa ed ora non lo è più;
l’oscurità intorno a noi non è
che un bacio proibito.

 

Naufraghi stellari,
siamo vittime colpevoli:
potevo io, potevi tu,
ma non l’abbiamo capito.

 

E mentre te ne vai
sai che so che sai
che non è più vita.
Se resisterò,
se resisterai
a questa ferita,
lei non guarirà;
sai che so che sai:
non c’è via d’uscita.

Quattro mesi dopo, il giovane percorre i corridoi dell’astronave insieme a molte altre persone. Tutti sembrano automi: lavorano senza slancio, ognuno chiuso nella sua bolla privata. Parlano pochissimo. Ogni volta che chiudono gli occhi, continuano a rivivere lo shock del momento del distacco. Ogni giorno si trattengono a lungo sotto la cupola panoramica a scrutare il cielo in silenzio. Molti fissano la piccola ma brillante luce bianca di Alpha Centauri. Sembrano tutti persi in sé stessi; stanno elaborando il lutto. Intanto l’astronave viaggia veloce: dopo la Terra e la luna, si lascia alle spalle Marte, poi anche Giove. A furia di osservarli, i pianeti sembrano perdere le loro fattezze per trasformarsi in simboli, illusioni ottiche, creature favolose, fino a popolare i sogni agitati dei cosmonauti.

 

Il giovane lavora nella serra. È un’attività ripetitiva, alienante e impegnativa, ma buona parte della frutta e della verdura raccolta finisce nei piatti altrui. Alzando lo sguardo, vede persone con abiti eleganti procedere in ampi tubi trasparenti, parecchi metri più in alto. Sembrano non accorgersi di lui e degli altri lì sotto; eppure, nella fredda luce al neon che lo avvolge ogni dettaglio è ben visibile. La luce in cui si muovono questi privilegiati è molto più calda e accogliente. Paradiso e purgatorio quasi si toccano. I conflitti sociali, le regole non scritte, le disuguaglianze della Terra sono state trasferite nell’astronave: serve gente che lavori duramente, per mantenere i passeggeri VIP. Al giovane non sono noti i loro meriti speciali. Non ha avuto spiegazioni, né scelta. Quindi, guarda verso l’alto con un misto di sordo rancore e disgusto. E non è il solo. Molti pensano che la fuga nello spazio non è servita a niente, se nell’astronave sono stati fedelmente riprodotti tutti i fattori che hanno condotto alla catastrofe.

 

Al termine del turno di lavoro, una sirena segnala di rientrare nel proprio cubicolo per mangiare un misero pasto e riposare. Non sarebbe stato meglio arrendersi prendendo atto della cattiveria, dell’insensatezza, delle pulsioni autodistruttive della razza umana? Eppure, l’istinto di sopravvivenza resiste: di notte, negli squallidi dormitori, si sente il vagito di neonati. Quel che resta dell’umanità si agita tra shock legato alla perdita, incapacità di fare autocritica, cortocircuito tra triste realtà e speranza irrazionale. Un conflitto che si ripresenta puntuale di notte, in sogni angosciosi, da cui i viaggiatori si risvegliano gridando, con la fronte coperta di sudore freddo.

VIAGGIO NEL NULLA

 

Quattro mesi di vuoto spaziale:
un viaggio nel nulla,
quando il vuoto più grande rimane
dentro di noi.
Molto spesso mi fermo a fissare
una piccola stella.
Siamo in tanti a guardare là fuori;
non ne parliamo mai.

 

Terra, Luna, Marte, Giove:
quattro miraggi, mostri selvaggi,
totem senza età…

 

Ogni giorno, routine sempre uguale
intorno alla serra
che fornisce il sostegno vitale
a quelli lassù.
Una rigida gabbia sociale:
la solita guerra.
Non smettiamo di farci del male
con i nostri tabù.

 

Terra, Luna, Marte, Giove:
nuovi sospetti, vecchi difetti;
quando finirà?

 

La sirena risuona nell’hangar:
mi avvio con la folla.
Un cubicolo freddo mi aspetta:
dormirò là.
Un bambino piagnucola piano
nella sua culla.
Incredibile, illogico istinto:
non cambierà.

 

Terra, Luna, Marte, Giove:
sogni confusi, passi scoscesi
dentro l’anima…

Sembra sia passato un secolo. Eppure, tutti ricordano bene i tempi in cui la vita sulla Terra era ancora possibile e nessuno si sarebbe mai immaginato un esodo forzato. Per non dimenticare, il giovane ha portato con sé un cofanetto con testimonianze di quel passato: spezzoni audio-video, ologrammi, telegiornali in realtà aumentata, infodemo, cubosfere… Aprire quel cofanetto è ogni volta un tuffo al cuore.

 

Ecco la cronistoria del precipitare degli eventi: dal record di calore e siccità dell’anno 2073 alle prove scientifiche che ogni angolo del pianeta, dall’Himalaya alla Fossa delle Marianne, è stato invaso da inquinamento e rifiuti, alla progressiva morte per avvelenamento della vita marina, allo scioglimento del permafrost che ha centuplicato l’effetto serra liberando enormi quantità di anidride carbonica. I Governi di tutto il mondo hanno girato la testa dall’altra parte finché è stato possibile; poi lo scioglimento delle calotte polari ha fatto sparire nel giro di pochi mesi centinaia di città costiere. Maremoti, eruzioni vulcaniche, scosse telluriche e uragani hanno innescato fughe disperate di milioni e milioni di persone, causando il collasso dell’ordine mondiale. Sotto la furia dei quattro elementi impazziti, la civiltà si è sciolta come neve al sole: sono emersi gli istinti più biechi, la malvagità e l’egoismo, cancellando legge e morale con un colpo di spugna.

 

Un salto indietro di parecchi secoli in pochissimi mesi. Il reporter che documenta l’ennesimo disastro e alla fine del servizio si chiede se ci sia ancora un’audience là fuori dice tutto. Alla fine, quel che resta dell’ONU ha chiesto aiuto ai militari per mettere in atto un piano disperato: permettere a un gruppo selezionato di uomini e donne di lasciare il pianeta a bordo di un’astronave, per tentare la fortuna pur non avendo alcuna certezza sull’esistenza di altri mondi abitabili. Il processo di selezione è stato vanificato da un ulteriore peggioramento della situazione: i lavoratori saliti a bordo sono lì solo perché erano al posto giusto nel momento giusto. Ammesso che di fortuna si tratti: la missione interstellare ha scarsissime probabilità di riuscita, come sparare bendati sperando di colpire una monetina a chilometri di distanza.

 

Per i privilegiati la questione è ben diversa: si sono aggiudicati il posto a bordo con la corruzione, il ricatto, l’intimidazione. Molti dei VIP sull’astronave erano a capo di multinazionali inquinatrici, di banche colluse, oppure erano politici compiacenti, e hanno negato fino all’ultimo la tragedia planetaria per il loro tornaconto personale: prepotenti, avidi, immorali. Hanno ottenuto enorme potere e ricchezza raccontando frottole sul tema della sostenibilità e continuando a perseguire i loro sporchi interessi; ora con quel denaro si pagano un viaggio in prima classe, condannando altre persone a morte certa sul pianeta che hanno contribuito a distruggere. La colpa è di tutti, ma alcuni hanno responsabilità enormi, e ora si godono un soggiorno premio! Non è giusto, pensa il giovane.

FLASHBACK (APOCALISSE)

 

“Ecco le news:
  il 2073
  è l’anno più caldo
  di questi tre secoli!”.

 

“Buongiorno a voi:
  sulla cima dell’Everest
  sempre più tracce di
  polveri e plastiche!”.

 

Che male fa
riversar negli oceani
scorie ed isotopi,
rifiuti chimici?

 

Che mai sarà
far sciogliere il permafrost?
Forse si suda un po’:
ci abitueremo, no?

 

Abbiamo giocato col fuoco, rovinando tutto quel che toccavamo.
Il pianeta violato ci ha avvertiti, implorati, si è ribellato.

 

È stato invano. Soldi, comodità, futuro: tutto è sfuggito tra le dita.
Ma quei bastardi che ci hanno mentito senza ritegno per la ricchezza e il potere,
che ora usano per salvarsi il sedere, hanno davvero passato il segno.
Per loro non può esserci perdono. Siano dannati!

 

“Attualità:
cataclismi terribili,
ghiacci disciolti,
mari che si innalzano!”.

 

“Mille città
cancellate in un attimo:
verdi tsunami,
vulcani che eruttano!”.

 

“Grazie regìa;
credo che queste immagini
dicano tutto:
ma a chi sto parlando? boh!”.
Acqua, terra, fuoco
divamperà.
Terra, fuoco, aria
ucciderà.
Fuoco, aria, acqua
inonderà.
Aria, acqua, terra
Esploderà,
e ben ci sta!

 

Si salvi chi può:
ora tutto è disordine;
fiumi di profughi;
nazioni che crollano.

 

La civiltà
si trasforma in un incubo:
apocalisse
in diretta davanti a noi.
Ora il cielo
è la sola speranza
per sopravvivere.

Nel cuore della notte, il giovane viene svegliato da un frastuono improvviso. Sembra che qualcosa stia tamburellando sullo scafo esterno dell’astronave, con tonfi e scossoni via via più forti. Il motore geme; i sussulti sono continui: che si siano imbattuti in uno sciame di detriti spaziali? Non c’è tempo da perdere: scende dal letto, si veste in un attimo e si precipita fuori. In molti corrono qua e là terrorizzati: sembrano formiche impazzite. Lui cerca di mantenere la calma: decide di correre al centro di controllo per scoprire cosa sta accadendo. Lì assiste a uno spettacolo sconvolgente: davanti alla cupola trasparente c’è un fitto ammasso di materia sparpagliata che ruota a folle velocità intorno ai contorni di… un buco nero??? Il moto è talmente vorticoso da far brillare tutti quei frammenti di varie dimensioni come stelle, un attimo prima di sparire dentro quell’imbuto nerissimo, enigmatico, inevitabile. L’astronave è risucchiata direttamente verso il centro, avvitandosi su se stessa come una trottola e scontrandosi con detriti che esplodono facendo scintille. I motori cercano di contrastare la tremenda forza attrattiva, ma non c’è nulla da fare: la voragine si spalanca lì davanti, ormai enorme; li inghiotte; è la fine…

 

All’improvviso, tutto – caos, frenesia, ansia, rumore, scossoni, certezza di morire – è dimenticato. Come se non fosse mai esistito. Sembra il ricordo di un ricordo. La sensazione è indescrivibile. Come se il tempo si fosse fermato. Anzi, come se non si fosse mai mosso. Il tempo è il non-tempo: sono la stessa cosa. A metà tra esistenza e non esistenza. Vuoto che riempie. Serenità. Una luce accecante, ma non dolorosa, che viene dal dentro delle cose e, dopo averle inondate, si versa al di fuori, per poi fare il percorso inverso, ancora e ancora, come una clessidra. Ecco cosa si prova a essere nel grembo dell’universo. Come non essere mai nati. In questo non-luogo un millimetro è un miliardo di anni-luce, un respiro è una galassia, e un pensiero è Dio. È sconvolgente essere in un buco nero. Un’esperienza trascendente. Perché unisce tutte le risposte a tutte le non-risposte. Non c’è un qui e non c’è un altrove. E dato che nel buco nero il tempo non esiste, entrambi non ci sono mai stati e mai ci saranno, pur essendoci. La mente si perde in un labirinto di specchi, ma non c’è nessun bisogno di ritrovarla. L’inizio e la fine si fondono insieme e rotolano come una catena di pura luce (con la forma del serpente Uroboro) nell’abisso del mai. L’individuo si fonde col Tutto. Non esiste rimpianto, perché tutto è già successo, succederà, non è mai successo. È pura magia, pura consolazione, pura emozione. È portento. È l’Essenza.

 

E quale sorpresa quando si scopre che questa estasi, mai sperimentata prima da un essere umano, la si sta condividendo con un’altra persona… Due sguardi si incontrano: una carezza, un ponte, un battito d’ali, un enigma nell’enigma. È come osservare il Big Bang dentro la stessa anima, lo stesso sogno, lo stesso atomo. Non può essere un caso. Gli occhi del giovane si spalancano per lo stupore; quelli della giovane donna davanti a lui fanno altrettanto; il vuoto è percorso da un fremito. È un attimo di eternità. Ma subito quella goccia pare creare un’increspatura che diventa un’onda sempre più alta, fino a far vibrare tutto quanto. Ecco ricomparire la sala di controllo dell’astronave, nuovamente squassata dai colpi che rimbombano contro il guscio esterno. Frastuono. Luci intermittenti. Oggetti che rotolano qua e là. Schiacciato a terra da una forza gravitazionale potentissima, il protagonista osserva sbalordito la grande bocca spalancata del buco nero da cui sono appena usciti rimpicciolire via via, fino a confondersi con il buio dello spazio profondo. Gli gira la testa: sono entrati nel buco nero e hanno percorso il Wormhole fino a uscire dall’altra parte? Dunque i Wormhole esistono davvero? E dove si trova ora l’astronave? La vetrata mostra costellazioni mai viste: ora sono lontanissimi da qualsiasi galassia conosciuta. Persi come un ago nel pagliaio. È difficile respirare. La vertigine è sempre più forte. L’ultima cosa che vede prima di svenire è il volto della giovane donna che lo fissa, attonita. Premuta a terra quanto lui. Spaventata. E bellissima.

WORMHOLE

 

Un rumore di tamburi nella notte
bussa piano, poi sempre più forte.
Scaccia i sogni; mi ritrovo nella cella.
Apro gli occhi: tutto trema e balla.
Che succede?
Corro fuori;
parte l’urlo
dei rotori.
Forse un banco
di asteroidi:
geme il guscio;
colpi sordi…
Tutti quanti
sono colti
dal terrore;
cercan
la salvezza
ma non sanno dove.
Mi dirigo
verso il centro
di controllo.
La vetrata
mostra
un panorama assurdo:
Quello è
un Buco Nero:
ci cadiamo dentro!
L’universo
implode:
non c’è via di scampo…
.     .     .
Quassù nel mare di calma
tempo sospeso;
luce abbagliante;
Omega e Alfa;
ogni cosa è una scia…
Solo qui
perdersi
per ritrovarsi e
solo qui
non c’è un qui…
Sì, questa è l’Essenza!
Sì, vuoto e presenza!
Così per mano, nuotando,
quando un istante dura per sempre
e non c’è niente che non abbia un perché…
Tu chi sei?
Guardami: sei così bella e sei così
nitida…
Sì, questa è l’Essenza!
Sì, sogno e coscienza!
.     .     .
Sì, questa è l’Essenza!
Sì, approdo e partenza!
Sì, quiete ed urgenza!
Sì, anima e scienza!
.     .     .
Torna il rombo,
torna il nero,
l’oppressione,
l’entropia.
Guardo il Wormhole
che scompare:
siamo usciti
chissà dove…
Lei è ancora lì
che guarda
nei miei occhi;
leggo il suo terrore
in mezzo a
quei rintocchi;
come strani
naufraghi;
come due sciocchi…

Dopo l’incredibile avventura del buco nero, il comandante dell’astronave dà appuntamento a tutti i passeggeri per comunicare le novità. Appare solo virtualmente, in un grande schermo, e lo scambio è unidirezionale. Una scelta voluta: la democrazia è da tempo merce rara.

 

Poco prima il giovane, risvegliatosi tutto solo in sala controllo, ha creduto di aver avuto un’allucinazione. La donna misteriosa sembrava troppo eterea per essere vera, e non poteva esser sparita: erano ancora vicini al buco nero e la forza di gravità a bordo continuava a essere ben superiore ai valori normali. Aveva rimuginato a lungo, cercando invano di trovare la linea di demarcazione tra realtà e fantasia onirica.

Il comandante, impettito nella sua uniforme, fa subito una netta distinzione tra lavoratori e VIP: gli preme informare soprattutto questi ultimi. Non si aspettava di imbattersi in un buco nero così vicino al sistema solare: forse si è manifestato solo di recente. Non ha idea di dove si trovino: il computer centrale fa calcoli su calcoli, ma finora senza risultato. Ad ogni modo, lo considera un vero colpo di fortuna: viaggiando nella maniera consueta, pur a una velocità non molto inferiore a quella della luce, avrebbero impiegato parecchie decine di anni per arrivare a una nuova galassia. Sono sopravvissuti al Wormhole e ora hanno davanti a loro una prateria inesplorata di pianeti, stelle, corpi celesti. La fortuna aiuta gli audaci.

 

Mentre il comandante parla e straparla, la telecamera inquadra qualcuno in piedi al suo fianco. La ragazza del Wormhole! Allora non è frutto dell’immaginazione! Il giovane non ascolta più: vuole incontrarla per capire se anche lei è rimasta così colpita in quell’incontro fortuito. Il destino ha dato loro un’intera galassia sconosciuta per farlo: sembra quasi un disegno premeditato. È un pensiero talmente bello che ha paura a formularlo; non riesce a non sognare a occhi aperti, fino a riempirsi la testa di parole senza senso. È stato amore a prima vista, per lui. Il cervello sovreccitato accosta la ricerca collettiva di un pianeta ospitale per poter ricominciare da zero alla sua personale ricerca dell’anima gemella. Una meta per il loro affannoso peregrinare, e una metà con cui condividere tutto, inclusa la sua stessa vita.

 

Le persone intorno a lui discutono su come verificare se i pianeti vicini sono abitabili, tra ottimismo e disfattismo. Tutto si confonde nei suoi pensieri: il tempo trascorso a chiedersi se da qualche parte può esistere un luogo da chiamare casa, un nuovo mondo, e le mille volte in cui si è domandato dolorosamente se era destinato a vivere da solo, o se alla fine avrebbe incontrato qualcuno che riesca a emozionarlo, a commuoverlo, a farlo sentire vivo. La risposta è lì, davanti ai suoi occhi.

META E METÀ

 

Il comandante
ci parla da uno schermo blu:
nessuno spazio per la replica.
“Cari astronauti,
carissimi Astronauti Plus,
adesso siamo in terra incognita.
Da non credere:
siamo arrivati qui;
pazzesco, ma è così,
perché di fronte a noi
c’è una galassia nuova!
Chi cerca spesso trova.
Vogliamo far la prova?
Contiamo fino a tre…”.
All’improvviso
la vedo in piedi accanto a lui,
quando già pensavo fosse un angelo.
Non ascolto più:
devo conoscerla,
devo parlarle, ma
dove l’incontrerò?
Nella galassia nuova!
Non rompermi le uova,
che qui gatta ci cova
e basta coi nonsense.
     .          .          .
Anni
passati a chiederci
se può esistere un mondo
adatto per noi,
proprio per noi…
Anni
spesi a riflettere
se una donna può essere
meta e metà.
Come si fa?
Quando si sa?
Meta e metà…
Ora la so,
quella risposta,
e non è un no.
Andare”… “Esplorazione”…
Sondare mari e atmosfere”…
Viaggiare”… “Cercare prove”…
Studiare mandando un drone”…
Lo troveremo!”.“Ci proveremo!”.
Atterreremo!”. “Ci schianteremo!”.
     .          .          .
Anni
passati a chiederci
se lassù c’è un pianeta
adatto per noi,
solo per noi…
Anni
a domandarmi se
una donna può essere
meta e metà
e all’improvviso
eccoti qua:
meta e metà.

I dettagli non si raccontano, in amore. Si vivono con intensità, e non si scordano mai. Inutile descrivere il primo incontro, gli sguardi che si incrociano, le mani che si stringono per la prima volta. Due anime si sono trovate, riconosciute e intrecciate.

 

Il giovane chiede di conoscere il nome di lei mentre osservano insieme la volta stellata oltre la grande cupola. La stessa da cui, pochi giorni prima, avevano guardato dentro al buco nero e viaggiato nel bagliore accecante del Wormhole. È la figlia del comandante; non si erano mai incrociati prima, vivendo su due piani diversi dell’astronave. Lui non era autorizzato a salire. Ma lei poteva scendere. E lo aveva fatto per la prima volta in quella notte incredibile. Lui indica un puntino luminoso e dice a mezza voce: “Guarda come brilla. Sembra uno spillo di luce”. Lei sorride e gli sussurra: “Mi chiamo Stella”. Anche lui sorride. Gli sembra la cosa più naturale del mondo. Il nome perfetto. L’amore è semplice, quando vuole.

 

Scienza e alchimia. Sortilegio e realtà. Per la prima volta, lui scopre di saper accettare che le cose andranno come andranno. Farà del suo meglio; gli importa moltissimo, più di prima, ma nulla potrà togliergli la serenità di sapere che, qualunque cosa succeda, non la vivrà da solo. E non la abbandonerà mai. Saranno una cosa sola. Fino in fondo. Non era completo senza di lei. Non sapeva di non essere tutto, di non essere assoluto; senza una pietra di paragone gli era impossibile rendersene conto. Ma ora è una certezza rasserenante. Un individuo è un individuo. Una coppia è, insieme, individuo e universo. Singolare e plurale. Particolare e generale. Yin e Yang. Cerchio e sfera. Pianeta e cosmo. Unità e tutto. Per questo, lui sarà sempre grato a Stella: in qualche maniera meravigliosa lo rende completo. Tiene insieme corpo, mente e anima; movimento e riflessione; energia, massa e luce. È lei la sua legge, il suo equilibrio. La sua relatività.

 

La cosa più importante è questa. Il resto è, appunto, relativo. Tutto intorno, la sconfinata notte stellata assume i contorni degli stati d’animo di chi la osserva: indifferente, minacciosa, romantica, promettente, malinconica, cupa, allucinata. Ma sempre arcana e misteriosa. Il viaggio continua; è ancora una missione disperata; a bordo contraddizioni e problemi non sono affatto scomparsi; ci sono mille motivi per guardare al futuro con apprensione. Arriverà il momento di correre a perdifiato, di urlare di terrore, di battere i pugni per terra, di dover rinunciare a qualcosa di irrinunciabile. E tuttavia, almeno per una notte è bello darsi un po’ di tregua, abbandonarsi serenamente, lasciar scorrere il grande fiume scivolando leggeri nella corrente. La testa di lei si appoggia alla spalla di lui, mentre cala il sipario del primo atto.

E=mc2

 

Stella,
quando sei con me
non so spiegarlo,
ma è difficile
ricordarmi che
per magia
sei vera.

 

Che succederà?
Non lo so.
Tengo la tua mano:
lo vivrò

 

e non avrò paura
anche se
finisse tutto quanto;
sai perché?

 

Sei tu la mia relatività…

 

Stella,
tutto intorno a noi
la notte immensa
non finisce mai.
Questa è la realtà:
siamo nel
mistero.

 

Forse riusciremo;
forse no,
ma in qualunque caso
ci sarò:
sarò dalla tua parte
anche se
andasse tutto storto;
sai perché?

 

Sei tu la mia relatività…

Concept e testi di © Carlo Guidotti

Illustrazioni di © Diego Mariani